Il repertorio dell’opera lirica ha offerto ma- teriale per lavorare sin dai tempi dall’epoca ro- mantica, quando personaggi come Paganini o Liszt, giusto per citare i più noti, ne avevano adoperato alcune tra le arie più note per co- struirvi delle parafrasi, delle variazioni di bra- vura, che in un certo senso potrebbero essere considerate quasi antesignane delle improvvi- sazioni jazzistiche. Ancora più inevitabile, quindi, trovare in quelle pagine un precedente più che significativo per “Opera”, il cd inciso dal pianista Danilo Rea e dal trombettista Flavio Boltro che ha praticamente spianato la strada ai concerti del duo, favorendone persi- no una tournée internazionale che ha toccato persino i Paesi dell’Estremo oriente. Rileggere in jazz i temi d’opera non è pro- priamente una novità – basti ricordare i prece- denti di Enrico Rava e Paolo Fresu, ma anche le solitarie scorribande di Rea in “Lirico” – ma nel caso di Rea e Boltro il lavoro svolto in duo esalta in maniera decisamente singolare il rap- porto tra melos e improvvisazione, creando un intrigante equilibrio tra il materiale di parten- za e quello invece creato all’istante, secondo un percorso che non esclude sortite in altri territori.
È il caso, ad esempio, della rossiniana ou- verture dal Guglielmo Tell, che tra un pedale funky e un passo di habanera si è fusa al monkiano Straight No Chaser o del verdiano «brindisi» dalla Traviata, la cui melodia spu- meggiante può deragliare nell’America del We- st Side Story di Bernstein prima di rientrare nei ranghi.Ma l’intero programma del duo propone un ventaglio ampio che tocca tanto Rossini (ouverture dal Barbiere di Siviglia, Dal tuo stellato soglio dal Mosè), quanto Puccini (Mio babbino caro dal Gianni Schicchi, E lu- cean le stelle da Tosca e Bohème) e Bellini (un ispirato Casta diva da Norma), ai quali si non ci si deve sorprendere se si aggionge anche un toccante medley tra Caruso e 4 marzo 1943 in omaggio a Lucio Dalla.
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